Prefazione
“ogni
giorno tolgo il buio
smuovo un
po’ d’acqua nel mare,
tutto
vive senz’orma.”
Tre versi per
introdurre il nuovo, compiuto lavoro di Marco Righetti: tre versi, a
dichiarazione di poetica. È l’idea di “togliere il buio” che più affascina, un
lavoro quotidiano, incessante, attraverso il quale dare forma a una materia, la
poesia, di per sé sfuggente, liquida, insidiosa, buia per l’appunto. Il poeta,
dunque, tenta, procede, indaga la realtà, cercando un raccordo tra linguaggio e
percezione, tra io e non io. Viene da pensare a Righetti come a un trovatore
moderno, che leviga – come fa il mare – il percepito, fino a ridurlo ad osso,
membrana. Compiuta questa operazione, ecco la consapevolezza di un risultato
esiguo, ancor più sfuggente dell’indagato: ogni cosa esiste senza riferimento.
È forse possibile trovare, allora, una via comune per conciliare lo scrivere e
il comunicare? Da tanto – In questo breve corso senza fine ne è la
conferma- l’Autore vive sulla propria pelle la sottile linea che divide la
poesia dalla non–poesia. La calca, anzi, per un bisogno primario: quello della
ricerca di una forma archetipica, in grado di costruire ponti tra le forme in cui l’esperienza si dà al poeta.
Ecco allora che, nella sfera del poetabile, sussistono molteplici dimensioni:
quella personale, di un Io sotteso, mai ingombrante per la verità, che parla
lealmente di noi, recuperando negli affetti, nel passato, il dolore del tempo;
quella sociale, protesa verso uno sguardo lucido e penetrante che denuncia gli
strati incistiti di una civiltà autistica, incarnata in se stessa,
colpevolmente autoreferenziale (si noti, ad esempio, il trittico “Sui muri di Lampedusa”); quella
visionaria, a tratti immaginativa, più spesso riflessiva e gnomica, che emerge
a cornice di molte pause meditative presenti nel libro, in modo più lucido e
convincente rispetto alle prove precedenti. Righetti è autore autentico: lo si
legge a tutto tondo, senza preclusioni verso ciò che accade in seguito;
possiede come cosa sua un talento invidiabile, per cui tutto alla fine si
chiarisce e si giustifica. La sua cifra stilistica è compiutezza compositiva,
come già acutamente notato da Lauretano, e, nel contempo, scrittura che dà
spiragli ma non spiega: Bisogna toccare la vita / lasciare appena /
le nostre impronte: chiosa così, con discrezione, il poeta, in uno dei
primi frammenti lirici, quasi nell’atto poetico coesistessero il riguardo
dell’altro, il rispetto per la materia poetica, la responsabilità di comunicare
senza fingere. Un vero codice lirico, insomma, da interpretare attraverso i
semi sparsi qua e là, nel tessuto del libro. Eppure quanto forti arrivano al
lettore gli strappi dei versi, concentrati uno via l’altro, nelle cesure, negli
accenti, nello strato del dolore:
scopriamo case vuote,
le abitammo ma è come
non averle mai sfiorate,
dimore acerbe,
non ci difendiamo
da nessuna nascita.
O ancora:
il tempo frantuma gli anni
li fa simili a rondini senza nido,
vola la vita,
ora le sere sono immense.
li fa simili a rondini senza nido,
vola la vita,
ora le sere sono immense.
Verrebbe spontaneo pensare a una partecipazione
sofferta nei confronti dell’esistente, quasi per compenetrazione della vita in
noi. In realtà, nelle pagine del libro, via via più dense fino all’apice
dell’ultima sezione, si fa luce l’idea, mai esplicita, sempre sottesa, che
l’esperienza individuale e collettiva, in ogni sua forma, non sia del poeta ma
appartenga al quotidiano; essa esige, quindi, un linguaggio puro, controllato,
mai scontato, che indichi un’interazione continua tra noi e l’altro, in chiave
di pietas reciproca, condivisione. Ecco, in Righetti, è questa l’idea forte di
poesia che si afferma, un umanesimo in cui la centralità dell’uomo non è mai
data per certa: essa va cercata per indizi. “In
questo breve corso senza fine” è, per quanto possibile, il punto di arrivo
del percorso, il suo limite. Ne deriva una visione lucida e onesta della
complessità umana, in ogni contesto essa si manifesti. E un quadro di
rappresentazione compatto, senza fronzoli, in cui l’uomo rispecchia il poeta.
Ivan Fedeli
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